Il contratto di affitto di poltrona è lo strumento con cui il titolare di un salone di acconciatura o di un centro estetico concede, a titolo oneroso, l’uso esclusivo di una porzione del proprio locale – la postazione di lavoro o la cabina – a un altro operatore abilitato che esercita in autonomia la propria impresa all’interno della stessa sede. Non è un rapporto di lavoro né un subappalto di servizi: è un accordo tra imprese (o, nel caso degli acconciatori, anche con un professionista non imprenditore purché abilitato), che consente di condividere spazi e, nei limiti pattuiti, attrezzature e servizi, mantenendo distinte responsabilità amministrative, fiscali e igienico-sanitarie. Questo inquadramento è stato messo nero su bianco dal Ministero dello Sviluppo Economico con una circolare interpretativa che ha chiarito natura e presupposti del modello contrattuale, proprio per evitare equivoci con forme di collaborazione parasubordinata o con cessioni mascherate di rami d’azienda. In quella sede l’Amministrazione ha richiamato la cornice statale di riferimento per acconciatori ed estetiste e la necessità, in ogni caso, di rispettare le regole regionali e comunali su igiene, urbanistica e sicurezza.
Per capire chi può stipulare un affitto di poltrona occorre fare una distinzione. Per l’acconciatore la legge nazionale ammette espressamente che l’impresa si avvalga, per l’effettuazione dei trattamenti, anche di soggetti non stabilmente inseriti in organico, purché in possesso dell’abilitazione professionale: ciò ha aperto la strada all’affitto di poltrona anche verso operatori non imprenditori, fermo restando che questi restano autonomi nell’organizzazione della loro attività e nei rapporti con la clientela. Per l’estetista, invece, la normativa di settore richiede l’esercizio in forma d’impresa; di conseguenza, l’affitto di cabina si perfeziona di regola tra due imprese distinte, ciascuna con i propri adempimenti e la propria figura di responsabile tecnico. La stessa circolare ministeriale ha precisato che in una sede possono coesistere attività di acconciatore ed estetista, purché sussistano i rispettivi titoli abilitativi e le imprese operino nel rispetto delle competenze e degli adempimenti di ciascuna.
La forma del contratto deve essere scritta, con indicazione analitica dello spazio concesso, della durata, del canone e dell’eventuale uso di attrezzature e servizi accessori, nonché delle regole di convivenza operativa e dei profili assicurativi. Nella prassi amministrativa e fiscale italiane, questo contratto viene registrato all’Agenzia delle Entrate e, in molte realtà, allegato o richiamato nelle pratiche verso il Registro Imprese/REA e nel fascicolo SUAP, proprio per rendere trasparente l’assetto organizzativo della sede. Numerosi sportelli unici e associazioni di categoria richiedono espressamente la registrazione del contratto e il deposito di una planimetria con la perimetrazione della postazione o cabina, a conferma della sua individualizzazione. La registrazione segue le regole dei contratti soggetti a imposta di registro, con prassi che riconducono l’affitto di poltrona alla locazione di spazi con eventuali collegati accessori, applicando l’aliquota dell’1% ai sensi della Tariffa del D.P.R. 131/1986; resta ferma la regola generale dell’obbligo di registrazione entro trenta giorni dalla stipula. È buona pratica prevedere clausole su rinnovi, recesso e risoluzione per inadempimento, nonché un allegato inventariale se il concedente offre anche dotazioni e strumenti.
Sul piano amministrativo, l’attività dell’affittuario non “discende” automaticamente da quella dell’affidante. L’affittuario che avvia la propria attività in sede altrui deve possedere i requisiti professionali e morali, nominare il proprio responsabile tecnico, iscriversi al Registro Imprese/REA e presentare la SCIA al SUAP competente, salvo che la modulistica locale preveda una comunicazione congiunta; in diversi Comuni la SCIA appuntata all’affitto di poltrona/cabina è un modello specifico e richiede di allegare il contratto registrato e la planimetria. In generale, l’affidante ha già presentato la SCIA per la propria attività e, quando necessario, integra la posizione con una comunicazione che segnali la compresenza di più imprese nello stesso locale. La dinamica operativa resta quella della “coabitazione” di imprese autonome, ciascuna con i suoi registri e adempimenti, a partire dalla fiscalità e dagli obblighi del personale eventualmente impiegato.
La separazione funzionale tra le imprese che convivono nella sede è centrale anche per la compliance. La circolare ministeriale suggerisce di evitare l’uso promiscuo degli stessi strumenti e di rendere riconoscibile la distinta organizzazione delle attività, anche attraverso la stabilità dell’esercizio, la separazione degli spazi e l’autonoma tenuta della contabilità. A ciò si aggiungono le regole locali su igiene, urbanistica e sicurezza, che restano pienamente applicabili: i locali devono avere destinazione d’uso compatibile, rispettare i requisiti edilizio-igienici e le dotazioni minime, e l’assetto organizzativo deve consentire i controlli delle autorità. Non va trascurato, inoltre, l’obbligo – spesso ribadito dai regolamenti comunali – di esporre il proprio listino prezzi in modo chiaro e visibile: nelle coabitazioni è prudente che ogni impresa esponga il proprio listino e le proprie generalità, per evitare confusione agli utenti e contestazioni sulla trasparenza tariffaria.
Un capitolo delicato riguarda la linea di confine con il lavoro subordinato. L’affitto di poltrona non deve mascherare una posizione di dipendenza: se l’affittuario è sottoposto a vincoli di orario imposti unilateralmente, usa strumenti del concedente senza autonomia, pratica prezzi decisi dal salone e non cura in proprio incassi e documenti fiscali, cresce il rischio che un ispettore riqualifichi il rapporto come lavoro subordinato con conseguenze rilevanti. Per ridurre questo rischio, il contratto dovrebbe riflettere la reale indipendenza dell’affittuario quanto all’organizzazione della propria agenda, alla gestione dei clienti, alla definizione dei prezzi, all’emissione di scontrini o fatture e alla dotazione minima di strumenti personali. Le stesse linee guida e dottrina amministrativa nate dopo la circolare ministeriale insistono sulla distinzione netta delle due organizzazioni e raccomandano accortezze concrete nella ripartizione degli spazi e nell’uso delle attrezzature.
Dal punto di vista fiscale, il canone può essere strutturato in forma fissa o mista, includendo non solo il godimento dello spazio ma anche quote di costi per utenze, materiali di consumo o servizi comuni come pulizie e accoglienza. La qualificazione IVA richiede attenzione: quando la prestazione è prevalentemente locativa, la regola è l’esenzione da IVA delle locazioni di immobili strumentali, con possibile opzione per l’imponibilità da esercitare in contratto; se il pacchetto contrattuale si sbilancia verso servizi e attrezzature, l’analisi può divenire più sottile. Per l’imposta di registro, come detto, l’orientamento prassico è quello dell’imposta proporzionale dell’1% sulla base imponibile del corrispettivo. In ogni caso, la configurazione economico-giuridica concreta va valutata con il consulente fiscale, soprattutto quando si concordano percentuali su incassi o si condividono terminali di pagamento e cassa, perché la “commistione” può riverberarsi sia sul piano tributario sia su quello giuslavoristico.
Sicurezza e salute sul lavoro seguono il perimetro di ciascuna impresa. Se una o entrambe le parti impiegano lavoratori dipendenti o equiparati, si applicano gli obblighi del Testo Unico sulla sicurezza, inclusa la valutazione dei rischi, la formazione e la sorveglianza sanitaria, con la necessità di coordinare le misure quando le lavorazioni interferiscono. Anche dove operino solo titolari senza dipendenti, restano i doveri di mantenere attrezzature conformi, procedure igieniche corrette e DPI adeguati, oltre a definire in contratto chi assicura le sanificazioni, la gestione dei rifiuti e le manutenzioni periodiche degli impianti. Molti SUAP richiamano testualmente la necessità di rispettare i regolamenti locali in materia di igiene edilizia, tutela ambientale e sicurezza nei luoghi di lavoro, e diverse prassi suggeriscono di redigere un documento di coordinamento dei rischi interferenti ispirato al DUVRI, tarato sulle specificità del salone.
Prima dell’avvio operativo conviene allineare con precisione le tappe amministrative. Il percorso tipico vede la stipula del contratto scritto, la sua registrazione all’Agenzia delle Entrate, l’aggiornamento delle posizioni in Camera di Commercio e la presentazione della SCIA da parte dell’affittuario, allegando, dove richiesto, copia del contratto e planimetria. In alcune province gli sportelli SUAP mettono a disposizione una SCIA dedicata all’affitto di poltrona/cabina; altrove è prevista una comunicazione congiunta oppure l’integrazione della SCIA esistente dell’affidante. Gli sportelli delle Camere di commercio ricordano inoltre l’obbligo di pubblicità nel Registro Imprese della carica di responsabile tecnico per l’acconciatore e il doveroso possesso dei requisiti professionali per entrambe le attività.
Nel governo quotidiano della convivenza è saggio disciplinare orari, turnazioni, accesso alle aree comuni, gestione della cassa e dei POS, pulizie e sanificazioni, raccolta e smaltimento dei rifiuti, nonché l’uso di eventuali marchi e insegne. La circolare ministeriale ha suggerito di evitare l’uso promiscuo degli strumenti, ma nulla vieta che il concedente metta a disposizione alcune dotazioni a fronte di un corrispettivo che le ricomprenda; ciò che conta è che resti riconoscibile l’autonomia organizzativa e che non vi sia confusione nell’attribuzione di responsabilità. Sul piano commerciale, ogni impresa espone il proprio listino prezzi e rilascia al cliente la documentazione fiscale dei servizi resi; su quello assicurativo, il contratto dovrebbe chiarire coperture, franchigie e responsabilità per danni a cose o persone, con particolare attenzione ai prodotti chimici e ai macchinari utilizzati.
Un’ultima considerazione riguarda l’evoluzione del quadro normativo. A livello nazionale si discute periodicamente di riforme del settore benessere, con ipotesi di inasprimento delle sanzioni per abusivismo, revisione dei percorsi abilitanti e riconoscimento formale di nuove figure professionali. In questa cornice dinamica, l’affitto di poltrona rimane uno strumento legittimo e utile per favorire l’autoimpiego e la qualità dell’offerta, ma richiede una cura particolare nel disegno contrattuale e nella gestione amministrativa, affinché la flessibilità organizzativa non trasmodi in opacità regolatoria. Chi si appresta a stipulare è bene che verifichi sempre le pagine SUAP del proprio Comune e, se del caso, gli atti regionali applicabili, oltre a farsi assistere da un consulente per la parte fiscale e assicurativa, soprattutto quando il canone include componenti variabili o servizi accessori significativi. In un contesto in cui sono allo studio aggiornamenti della disciplina di settore, l’aderenza alle prassi amministrative (contratto scritto e registrato, SCIA correttamente presentata, responsabile tecnico nominato, listino esposto e separazione operativa ben definita) resta la miglior garanzia di serenità gestionale e di tutela per clienti e operatori.
Se dovessi riassumere in poche righe l’essenza del contratto, direi che l’affitto di poltrona funziona bene quando rende visibile – ai clienti, all’amministrazione e a chi lavora – che dentro lo stesso salone convivono due imprese diverse, autonome ma coordinate: ognuna con i propri strumenti, i propri prezzi, i propri adempimenti e il proprio perimetro di responsabilità, e con un accordo scritto che regola in modo trasparente l’uso dello spazio e la condivisione dei servizi. È questa separazione operativa, più ancora dei timbri e delle etichette, a fare la differenza tra una collaborazione sana e una situazione a rischio di contestazioni.