I numeri sono impressionanti e ci fanno capire come sia il business del momento: 250 milioni di euro il giro d’affari, 9 milioni gli iscritti su 12 milioni di di acquirenti online. Groupon, Groupalia, Letsbonus sono i maggiori siti di social shopping: vendono coupon che danno diritto a offerte superscontate per prodotti, ristoranti, trattamenti estetici, viaggi, corsi e persino esami clinici. Ci si iscrive al sito, si lascia la mail e ogni giorno arrivano le offerte della nostra città o di tutto il Paese. Ristoranti, centri estetici, esercizi commerciali di tutti i tipi offrono per un tempo limitato i loro prodotti e i loro servizi a prezzi scontati. Se la proposta ci interessa possiamo comprarla sul sito con carta di credito: in cambio ci arriva un coupon, da stampare e consegnare al negoziante al momento di saldare il conto.
Un nuovo modello di business, che ha messo insieme l’aspettativa del cittadino di avere molti sconti e il bisogno delle piccole attività commerciali a livello locale di avere un nuovo canale di vendita che permette allo stesso tempo di farsi pubblicità e di digitalizzarsi, mettendo sul web la loro offerta. Un ristorante che offre una cena a prezzo scontato raggiunge più obiettivi: si fa conoscere, vende posti che non avrebbe venduto e promuove il prodotto a potenziali clienti sul territorio, aumentando la propria clientela. Perché funzioni, però, il ristorante deve gestire questo nuovo canale senza abbandonare la qualità che garantisce ai vecchi clienti. Spesso non è così. Purtroppo, negli ultimi anni questo settore ha conosciuto una fase di far west in cui sia i siti di social shopping sia gli esercenti commerciali hanno puntato poco sulla qualità e tanto sulla quantità, accumulando coupon e clienti. Da qui le tante ombre che sono scese su questo nuovo modello di ecommerce e di cui hanno fatto le spese i clienti.
Lo vediamo ogni giorno con le lamentele che ci arrivano dai soci nei confronti di Groupon e Groupalia, i due principali attori del settore. Sette su dieci riguardano i tempi di consegna dei prodotti, troppo lunghi, e disservizi relativi alle prestazioni acquistate con il coupon, tra questi i più segnalati riguardano il fatto che la prestazione ottenuta non corrisponde a quella pubblicizzata (per esempio, un volo in parapendio diventa una lezione di parapendio, vedi riquadro nella pagina accanto) o che non si è potuto usufruire del coupon per overbooking (sono stati venduti più coupon rispetto a quelli effettivamente disponibili). Attenzione: è il gestore del sito a doversi assicurare che il servizio che pubblicizza e vende corrisponda al vero, perché il ruolo di intermediario è proprio quello di valutare la qualità e l’affidabilità di un’azienda partner (per un centro medico o estetico, per esempio, controllerà l’iscrizione all’ordine professionale, il curriculum e le specializzazioni, come vengono fatti i vari trattamenti e il modello di macchinari). Se qualcosa non va dobbiamo pretendere dal sito la restituzione delle somme versate e farcele riaccreditare sulla carta con la quale abbiamo fatto il pagamento. Spesso i siti rimborsano con un credito da usare per l’acquisto di altri coupon: potete rifiutare questo tipo di rimborso e chiedere indietro i soldi.
Purtroppo, quando ci sono problemi con il coupon, il cliente assiste sempre allo stesso spettacolo: chiede conto del disservizio al sito dove ha comprato il coupon e questi lo rimanda all’azienda partner (per esempio, il ristorante) che, a sua volta, lo rimpalla scaricando la responsabilità sul sito. Va in scena lo scaricabarile e il cliente resta senza rimborso. Questo comportamento scorretto fa sì che spesso, magari per l’esiguità della cifra spesa, lo stesso cliente sfinito non porti avanti la questione per non perdere tempo ed energie. Invece, bisogna insistere. L’unico modo per farsi valere è conoscere i propri diritti. Il che significa che nelle condizioni contrattuali del sito dobbiamo leggere a chiare lettere che, in caso di mancato utilizzo del coupon per colpa dell’azienda partner o in caso di prestazione non corrispondente a quella offerta sul sito, è tenuto al rimborso chi lo ha venduto, cioè il sito stesso. Groupalia ha introdotto questa indicazione nelle sue condizioni contrattuali grazie all’intervento dell’Antitrust che l’aveva ammonita a mettere fine alle pratiche scorrette denunciate dai consumatori proprio su questi aspetti. Ora prevede il diritto al rimborso, purché si comunichi il disservizio subito entro 5 giorni lavorativi dal verificarsi dello stesso.